IL FUTURO DEL MADE IN ITALY è NEL SUO PASSATO

Va bene concentrarsi sull’oggi tenendo ben presente gli obiettivi da raggiungere in futuro, ma se fosse uno sguardo nostalgico al passato a traghettare da una crisi all’altra le imprese della manifattura nostrana?   

Si fa un gran parlare del made in Italy, e non solo da quando il ministero per lo Sviluppo economico ha cambiato nome in ministero delle Imprese e del Made in Italy, appunto. Il marchio di fabbrica del bel paese è la qualità, dei suoi prodotti e delle idee progettuali.

Gli italiani lo sanno e il merito è giustamente riconosciuto in tutto il mondo tanto che il governo ha deciso di istituire il 15 aprile di ogni anno la Giornata Nazionale del made Italy. Per festeggiare il primo compleanno, anche la nostra Confederazione ha voluto rendere omaggio a tutte le imprese manifatturiere, che hanno contribuito a creare quei prodotti che oggi sono il segno distintivo di un’eccellenza nel mondo, allestendo una mostra fotografica: Opificio Italia.

In esposizione più di 150 immagini di oltre cinquanta imprese nate nel Novecento,  principalmente piccole aziende di famiglia nate attorno a un’idea prima che a un marchio.

La mostra è un viaggio in quattro tappe nella manifattura italiana. Si parte con Logos che racchiude le evoluzioni dei loghi per raccontare la trasformazione del marchio in logo grafico, quando ancora il prodotto era più importante del brand. In Interno Opificio le immagini entrano negli antichi magazzini, nelle officine, negli stabilimenti, nei ricoveri per i mezzi di trasporto, tra i grembiuli delle donne operarie e le tute da lavoro degli uomini. Fotografano i bambini in posa che abbracciano nuovi macchinari come persone di famiglia, e lavoratori e fondatori si confondono attorno alle macchine perché il lavoro suggerisce lo stesso impegno.

In Esterno Opificio è racchiuso il mostrarsi al mondo, farsi vetrina. I prodotti escono dai capannoni, diventano strumenti per conquistare il mercato. Sono le immagini delle pubblicità, tra bozzetti, claim, slogan e cartoline, gli stampi e i registri, i diplomi e i francobolli, le sponsorizzazioni sportive. Il “Poveri ma belli” di Carrera Jeans, il frame dello spot tv più longevo di Pennelli Cinghiale “per dipingere una parete grande…”, il poster della prima dinamomano di Tre spade, i bozzetti per i videogames Atari di Publitrust.  

In Memorabilia Opificio, l’ultima tappa e forse per questo con un sapore amarcord, ci sono le aziende che hanno lasciato il segno, conquistando un posto nei ricordi non soltanto di tutti gli italiani. Imprese che diventano prodotto: Baldassarre Agnelli è lo spremi agrumi per l’Andrea Doria e la borraccia in alluminio scambiata tra Coppi e Bartali, Belleli è il primo trasporto fluviale per galleggiamento dei manufatti,  Cartoni sono le cineprese dei film di Fellini, Rossellini e De Sica, Sgaravatti è i giardini del Vaticano, Titanus è il ciak del Gattopardo, Barzanò e Zanardo è il documento di registrazione del brevetto “L’uomo lavora, il pavesino ristora” della Pavesi.  

Manifattura, artigianato, mani che forgiano un’idea: saper fare.

Ma, certo, i tempi sono cambiati e per superare una crisi economica e sociale non basta né la buona volontà dei singoli né la qualità di un prodotto. Ma allora perché le Pmi della Confederazione, le industrie italiane, non hanno ancora perso il vizio di puntare sulla qualità?

Il viaggio di Opificio Italia, allestito nella sede nazionale di Confimi Industria, in via Tagliamento, 25 a Roma, rimarrà aperto sino al 21 agosto, Giornata nazionale dell’imprenditore. In mostra anche brevi citazioni, schermi e cataloghi, proiezioni di immagini che permettono di varcare soglie di antiche botteghe e di indagare i volti degli operai intenti a lavorare una passione, per calarsi nelle atmosfere di quei primi tentativi che il tempo ha mutato in maestria.   

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