L'AGRICOLTURA EUROPEA DAVANTI A UN PASSAGGIO DELICATO: COME CONCILIARE LIBERTà DI MERCATO ED EQUITà

Caro Direttore, 

la politica agricola europea è da sempre un pilastro dell’integrazione comunitaria e ancora oggi le viene riservata una parte consistente del bilancio comune. Attraverso di essa il Vecchio Continente ha costruito uno dei sistemi agricoli e alimentari plurali più forti al mondo. Certo, questo modello non è immune da limiti e critiche. Ma rimane il fatto che questa impalcatura di politiche pubbliche comunitarie ha consentito alle agricolture europee di crescere, specializzarsi e avanzare. Mentre, di converso, nessun Paese da solo con la sua finanza pubblica avrebbe garantito ai sistemi rurali lo stesso livello di sostegno. Basta guardare le statistiche nazionali per riconoscere che mentre i finanziamenti europei sono pressoché stabili da anni, quelli nazionali e locali, ovunque, sono diminuiti sensibilmente. 

Ora anche l’agricoltura europea si trova di fronte a un passaggio molto delicato. La posta in gioco è confermare di essere una delle esperienze agroalimentari più sicure, efficienti e aperte, senza smarrire le molteplici identità agricole contenute in essa e garantendo adeguati livelli di reddito sopratutto alle piccole e medie imprese. 

Crisi climatica e nuovo modello economico-produttivo si intrecciano inesorabilmente e se vogliamo riflettere sui problemi reali che attraversa specialmente l’agricoltura italiana, quando pensiamo prima di tutto alla sua redditività, occorre partire dalla consapevolezza che il primo vero tema riguarda le sue rese produttive, in calo in modo significativo. 

Il cambio climatico sta riducendo le produzioni e i volumi e sta modificando i nostri paesaggi agricoli ed è stato calcolato che negli ultimi vent’anni abbiamo prodotto nei nostri campi mediamente il 10% in meno. Si tratta di una diminuzione molto importante e da qui occorre partire per riflettere su come delineare strategie utili a costruire un equilibrio più avanzato tra redditività e sostenibilità. 

Certamente si pone il tema di come sostenere in modo diffuso gli investimenti per le innovazioni, utili a “produrre di più, spendendo meno”, specialmente per le piccole e medie imprese che non hanno capitali propri per finanziare queste opportunità. E va ripensata in fretta le cosiddetta “gestione dei rischi”, ovvero tutti quegli strumenti, assicurativi e non solo, in grado di sostenere chi vive di agricoltura e si trova a fare i conti con eventi climatici estremi sempre più frequenti, fitopatie e altri shock, anche derivanti da crisi di mercato, che compromettono radicalmente il loro reddito. Bisogna ampliare la platea delle imprese coperte da questi strumenti e bisogna efficientarne i meccanismi di funzionamento perché siano più semplici e funzionali. 

Agricoltori e allevatori sono troppo spesso gli anelli deboli della filiera. Il loro squilibrio di potere contrattuale nella formazione dei prezzi è figlio di asimmetrie importanti, legate alla loro natura organizzativa ed economica, aggravata anche da fattori come la deperibilità dei prodotti e la difficoltà di differenziarli. Le economie di scala sono molto difficili e rimane da affrontare il nodo di una migliore organizzazione dell’offerta attraverso investimenti in forme organizzative utili per i produttori di settore. 

Negli ultimi anni l’agricoltura italiana, pur tra tante difficoltà, ha trovato nell’investimento sulle qualità e nella sua straordinaria multifunzionalità due punti cruciali di tenuta. Basti pensare che oggi oltre il 20% del reddito generato dalle imprese agricole non arriva da ciò che coltivano o allevano ma da altri servizi offerti ai territori dove sono insediati. Tutto ciò è molto importante ma non più sufficiente. Le catene del valore sono squilibrate e mantengono profonde inefficienze di sistema, si pensi alla logistica e ai trasporti dell’agroalimentare: quanto incidono sui costi di produzione? Non poco. Così come non sono banali i costi energetici. E su questo nodo occorre insistere con tutto il pacchetto di misure relative alle agroenergie sostenibili e al pieno investimento sulla circolarità dell’economia agricola garantendo che questi sforzi arrivino davvero nelle aree rurali e direttamente dentro le esperienze produttive delle piccole e medie imprese agricole. 

Caro Direttore, ambiente e agricoltura non possono muoversi su fronti contrapposti e non ci sarà nessuna svolta ambientale utile senza il protagonismo positivo del settore primario. Oggi è più che mai necessaria una nuova economia (agricola) sociale di mercato. Solo così saremo in grado di conciliare in forme moderne le libertà di mercato e l’equità. A partire dalla terra. 

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