L’INDIA DEI SORPASSI CLAMOROSI ORA VACILLA SOTTO UN MAXI SCANDALO

Il miracolo indiano è la «success story» del nostro tempo, destinata a offuscare il ruolo globale della Cina? Oppure è una bolla speculativa, un castello di carte che sta iniziando a crollare sotto lo shock tremendo dello ? L’India è stata in primo piano quest’anno al World Economic Forum di Davos, proprio come un quindicennio fa quando invase quel summit con il fortunato slogan “Incredible India!” (col punto esclamativo) inventato da una campagna pubblicitaria per attirare turisti e investitori. L’India è al centro dell’attenzione delle multinazionali occidentali come possibile sostituta della Cina in quest’era di “friend-shoring”, le rilocalizzazioni in aree geopoliticamente sicure, affidabili, alleate o amiche: un caso recente è Apple che oggi assemblea l’85% dei suoi iPhone in Cina ma punta a spostare il 40% della produzione fra India e Vietnam. Questo è anche il periodo segnato da alcuni sorpassi molto simbolici. Nel 2022 il Pil dell’India ha superato quello del Regno Unito, l’ex potenza coloniale che dominò il paese fino al 1947. Quest’anno, secondo l’Onu, l’India è destinata a superare la Cina per numero di abitanti, ed è un evento significativo perché sottolinea la superiorità demografica dell’elefante indiano sul dragone cinese: nel lungo termine la forza lavoro giovane dell’India potrebbe darle una marcia in più, mentre Pechino dovrà affrontare costosi investimenti pubblici per adeguare il suo Welfare a una popolazione che invecchia. Fra i tanti sorpassi se ne possono aggiungere alcuni di natura “privata”, che riguardano proprio il sessantenne magnate Gautam Adani. Nel 2022 ha (brevemente) sorpassato Jeff Bezos di Amazon e si è piazzato alle spalle di Elon Musk come secondo uomo più ricco del mondo. Inoltre una delle sue aziende, specializzata nell’energia solare, ha raggiunto l’Enel e punta a superare la multinazionale italiana come fatturato in questo settore. Il conglomerato Adani è diventato una sorta di indicatore sullo stato di salute dell’intera economia indiana. Il rialzo in Borsa delle sue sette società quotate aveva trascinato una performance stellare dell’intero indice azionario Msci India, per un anno e mezzo il più brillante di tutta l’Asia. D’altronde le società del conglomerato Adani da sole valgono un quinto dell’intera Borsa indiana. Il settore Green (in cui l’imprenditore ha promesso 70 miliardi di dollari di nuovi investimenti entro il 2030) è un fiore all’occhiello, con cui Adani identifica la propria strategia e quella del governo indiano: un mix di ambientalismo e pragmatismo in cui convivono gli investimenti nel carbone e nelle rinnovabili. Da tempo però dei dubbi molto seri circondano la natura del fenomeno Adani. Il fondatore Gautam, figlio di un mercante tessile, si presenta come un “self-made man” che personifica la nuova India del premier Narendra Modi. Il Bjp, partito nazionalista indù che ha la maggioranza al Congresso, si considera pro-business a differenza del suo predecessore, il partito del Congresso la cui ideologia socialista è affondata in un mare di scandali per corruzione e nel familismo della dinastia Gandhi. Modi e Adani soo originari dello stesso Stato, il Gujarat. L’ascesa dei due viene talora considerata come un fenomeno “parallelo”, perché Adani è sospettato di aver ricevuto molti favori dal potente premier. Ad esempio, nel 2019 il gruppo Adani si è aggiudicato sei aeroporti privatizzati dal governo, pur non avendo la minima esperienza nel settore. Fino a quel momento Adani operava solo nella logistica portuale oltre che in altri settori dell’industria pesante (cemento), della plastica e dell’energia. Il consolidamento del potere di Narendra Modi secondo le analisi più critiche ha agevolato le fortune di due colossi capitalistici, le dinastie Adani e Ambani, mentre non ha mantenuto finora le promesse di un’autentica liberalizzazione dell’economia indiana a vantaggio di tutta l’imprenditoria. Dieci anni fa su questo modello economico uscì un’analisi preveggente di due economisti della Business School di Chicago, l’indiano Raghuram Rajan e l’italiano Luigi Zingales. Descrivevano l’India come un caso di “ ” cioè capitalismo clientelare, nepotista e corrotto. (Rajan poi divenne governatore della banca centrale di New Delhi, ma durò solo un biennio in quell’incarico). Qualcuno volle dare a quel termine un connotato positivo, notando che un altro miracolo asiatico, quello della Corea del Sud, all’origine si fondò sul sistema opaco e colluso dei Chaebol, i conglomerati locali. Un decennio dopo, la tesi di Rajan-Zingales è tornata improvvisamente d’attualità con lo scandalo Adani. Una piccola società di analisi finanziaria e d’investimento americana, la Hindenburg Research, ha accusato il conglomerato indiano di avere “organizzato la più vasta truffa nella storia del capitalismo”. Hindenburg è specializzata nel “short-selling”, cioè la speculazione al ribasso, e prende di mira società che ritiene sopravvalutate dal mercato e afflitte da debolezze nascoste. In passato tra i suoi bersagli c’è stato anche Twitter. Nel caso di Adani l’accusa della Hindenburg parla di “manipolazione delle quotazioni e frode in bilancio prolungata per decenni”. Il crollo in Borsa è stato brutale e al momento ha distrutto il 60% del valore del gruppo Adani. Il momento è delicato perché si sta svolgendo un nuovo collocamento di azioni per 2,5 miliardi di dollari. Lo scandalo colpisce non solo un capitalista di enorme potenza, e con agganci politici al massimo livello, ma getta dubbi pesanti sulla credibilità di tutte le istituzioni che dovrebbero vigilare sui mercati finanziari indiani. Il punto chiave è questo. Gli scandali finanziari avvengono ovunque, non colpiscono solo sistemi opachi come la Cina socialista e la Corea del capitalismo dei Chaebol; il crac di Lehman nel 2007, o il recente scandalo nelle criptovalute, ci ricordano quanto l’economia americana abbia conosciuto le sue bolle e i suoi crac. Il problema nel caso Adani è che nessuno ha bucato la bolla in India, c’è voluto l’intervento di un soggetto straniero, dagli Stati Uniti. Se le accuse di Hindenburg si rivelano fondate, è in gioco la credibilità del sistema. Bisognerà vedere quanto l’India stessa vorrà fare luce, e pulizia. Adani si è opportunamente comprato una delle maggiori reti televisive del paese, la Ndtv, il che gli dà un’influenza importante anche nell’informazione. Cinque anni dopo il lancio della campagna pubblicitaria “Incredible India!” (2002), io scrissi “La speranza indiana” (2007), un saggio in cui analizzavo forze e debolezze della nazione. Il sogno del sorpasso sulla Cina era già allora all’ordine del giorno: non solo sorpasso demografico, ma nella velocità di crescita. Da allora è sempre accaduto qualche incidente per far deragliare i piani più ambiziosi e il Pil dell’elefante rimane molto più piccolo in confronto a quello del dragone. Tra le altre spiegazioni, la burocrazia indiana si è rivelata più forte di tutti i piani per riformarla; anche per questo motivo l’economia indiana non ha mai raggiunto quella cinese in termini di modernità delle infrastrutture energetiche e di trasporto. Lo scandalo Adani è il test del 2023, mette alla prova anche le infrastrutture di regolamentazione, vigilanza, tutela del risparmio.

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