LA CINA SEMPRE PIù IN AFFARI (E NON SOLO) CON L'AFRICA

Il Forum sino-africano (Focac) sulla cooperazione svoltosi in questi giorni a Pechino evidenzia le capacità diplomatiche del Dragone. Il presidente Xi Jinping ha accolto cinquanta leader africani all’interno di un vertice che salda politiche ed accordi e getta le basi per una cooperazione ed un controllo del Dragone sul continente africano. L’effetto inevitabile è stato conquistare spazi in parte coperti dai Paesi occidentali. Il Focac, che si svolge con cadenza triennale, ha visto Xi mettere a fuoco obiettivi strategici come l’apertura dei mercati cinesi a 33 paesi africani non prevedendo dazi, un sostegno al piano di sviluppo e ammodernamento dell’Africa nei prossimi anni, 360 miliardi di yuan su progetti infrastrutturali e di ampliamento in ambito tecnologico, energetico, sanitario e militare.

La tattica cinese del ‘’Going out’’ punta agli investimenti in Africa delle imprese di Pechino già dal 2009, andando ad allargarne la portata con la Belt and Road initiative ossia la Nuova via della seta, così comprimendo in particolare il potere commerciale statunitense e proponendo un modello di globalizzazione alternativo.

Nonostante i disegni espansionistici, il Dragone ha visto la sua corsa azzoppata dall’aumento dell’indebitamento, dalla contrazione dei consumi e dal mismatch nel mercato del lavoro. Per cui di fronte alle criticità e non volendo desistere dai propri intenti ha sviluppato anche una strategia del “piccolo, ma bello”, che ha previsto progetti misurati e sostenibili, per evitare una sovraesposizione economica.

Al di là dei piani di Xi, i legami multilaterali instaurati segnano a livello geopolitico un corso diverso dei rapporti internazionali tra Cina e Africa, a seguito dell’ultima edizione del forum svoltasi a Dakar nel 2021 ed è bene leggere anche una spinta da parte di Pechino nella ricerca di un maggiore coinvolgimento nelle questioni riguardanti la sicurezza globale dinanzi alle nuove crisi e conflitti globali. Si ricordi la dichiarazione congiunta Mosca-Pechino sulla nuova era delle relazioni internazionali poco prima delle Olimpiadi invernali di Beijing, che ha decretato di fatto la nascita di un multilateralismo rispetto all’ordine costituito a guida occidentale e rappresentato da Usa e Nato.

La Cina sta lavorando a livello diplomatico in tutto il mondo, ma la riflessione sull’attuale Focac porta a vedere il sostegno politico cinese nel sud del mondo come un posizionamento in antitesi a Washington. La Cina è responsabile di un terzo della crescita globale annua, da paese in via di sviluppo si è trasformato in partner commerciale di oltre 120 nazioni, da fabbrica del mondo di prodotti contraffatti, a basso costo e di scarsa qualità a leader di merci all’avanguardia in ambito tecnologico. La crescita degli ultimi decenni era difficile da ponderarsi, impensabile trent’anni fa immaginare che la Cina sarebbe diventata la seconda potenza mondiale.

Molti hanno sottostimato nel 2001 l’ingresso della Cina nel WTO, tra l’altro favorito dall’attivismo USA, e il rimando a uno slogan famoso di Deng Xiaoping che dice “nascondi la forza e attendi il tuo tempo”. I sindacati del settore manifatturiero avevano allertato proprio in quel periodo il Governo americano sul pericolo della perdita di posti di lavoro, ma la preoccupazione è stata bypassata dall’opzione win-win, la prospettiva di un vantaggio reciproco secondo cui l’Occidente avrebbe avuto la sua parte di bottino in settori chiave della Cina e quest’ultima avrebbe potuto esportare le proprie merci fuori dai confini. Questo slancio di investimenti internazionali era stato visto per di più dai leader cinesi come un’occasione per legittimare più facilmente tutta una serie di riforme interne, proprio perché giustificate dagli accordi presi con altri Paesi. La presidenza di Xi ha visto l’attuazione di una politica autoritaria talvolta aggressiva, di difficile interpretazione attraverso i nostri approcci culturali, ma che ha portato la Cina ad affermarsi e che impone un’osservazione non superficiale e fatta di luoghi comuni. La complessità del Dragone e delle sue relazioni internazionali non deve proiettarci nella costruzione ideologica del nemico perfetto, ma nell’elaborazione di assetti occidentali che facciano da contraltare al colosso rosso, che ha mandato in frantumi il mito di una egemonia occidentale.

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