LA VERA STORIA DELLE ALICI DEL CANTABRICO, PESCI SOTTOVALUTATI

Di un monile di finto argento, di quelli che dopo un po’ tendono ad annerire ed emanare quell’olezzo di metallo surriscaldato che ha pure il pesce quando imputridisce, si dice sia fatto di puro argento d’acciuga. Screditatissime portavoci di un popolino azzurro, le acciughe e le alici sono sempre state relegate, loro malgrado, a un ruolo da dark horses.

I salatori italiani che si sono spinti, alla fine del Diciannovesimo secolo, fino alle coste settentrionali della penisola iberica alla ricerca di pescato da importare, però, nelle alici e nelle acciughe non hanno mai intravisto argento. Per loro, anzi, al contrario: erano oro.

Per questo deve essergli esploso il cervello quando hanno visto gl’ispanici usarle come pastura da pagello.

In quelle reti c’era una ricchezza che – è una costante – chi aveva sotto il naso neppure subodorava di avere.

E se c’era un porto in cui le reti arrivavano più gonfie che in ogni altro luogo, se c’era un posto in cui rimboccarsi le maniche e prepararsi a salare quintalate di acciughe, quel posto era Santoña.

Ne avrebbero fatto l’epicentro culturale di un’industria florida.

I prodromi di un business milionario

È in questo periodo che le acciughe e le sardine hanno cominciato a essere il metronomo che scandiva i tempi della vita dei porti costieri della Cantabria e della Galizia. Che se ne stavano dormienti per tutto l’inverno, e in primavera – come una fantastica metafora – si risvegliavano sommersi da fiumi di pescato. La lavorazione impiegava le giornate di tutti: quattro mesi frenetici di coinvolgimento ecumenico, una frenesia che gli italiani avevano saputo imbrigliare, organizzare, fomentare.

Tra questi salatori c’è Giovanni Velia Scatagliota. È un siciliano, a Santoña ce l’ha spedito l’azienda conserviera genovese Angelo Parodi.

L’Italia è subissata dalle richieste di alici, e il pescato dei nostri mari, per tutta quella domanda, non è più sufficiente. Là in Cantabria, invece, delle alici non sanno proprio cosa farsene: non le usano, le disprezzano, il contesto ideale sul quale impiantare un business profittevole. In quel fervore, in quell’atmosfera di infinitamente possibile, Giovanni si innamora di una ragazza del posto, Dolores. Decide di fare di Santoña la sua nuova casa, e di dedicarsi al mondo che conosce meglio: quelahlo delle alici. Mette su un piccolo stabilimento per la salatura e l’impacchettamento delle alici, la chiama – con poca inventiva, ma molto amore – “La Dolores”. Non sa, nel 1889, che sta dando vita a un comparto mostruoso: oggi a Santoña si trova un quarto delle imprese che si dedicano alla conserva di alici di tutto il paese, nelle quali lavora quasi il 10% della popolazione.

L’intuizione alla base, più che del successo, della percezione di Velia Scatagliota come padre fondatore delle conserve di alici è geniale nella sua semplicità.

Per marcare la differenza avrebbe proposto filetti di alice senza pelle e senza spine, sostanzialmente pronti da mangiare, avvolti nel burro, spogli della rottura di doverli dissalare. Ci avrebbe aggiunto dei capperi, la madelaine che gli ricordava le coste della sua Sicilia.

Per farlo avrebbe avuto bisogno, però, di un metodo di conservazione e trasporto pratico e agevole. Come, per esempio: la latta.

Storia breve della conservazione.

L’inscatolamento in latta, nell’ultimo secolo, aveva fatto passi da gigante. Era, tuttavia, un’invenzione piuttosto recente, emersa in circostanze strambe: nel 1809 Napoleone Bonaparte aveva indetto un concorso che avrebbe premiato con dodicimila franchi «il miglior metodo per conservare alimenti a lungo e in buono stato». Nicolas Appert aveva lavorato ad anni al suo progetto, approdando a un’invenzione che avrebbe rivoluzionato il mercato delle conserve: la soluzione perfetta era la conservazione in recipienti chiusi ermeticamente. Qualche anno più tardi l’inglese Peter Durand avrebbe sostituito i contenitori in vetro con più convenienti barattoli in latta, inaugurando una vague che avrebbe incontrato sempre maggior successo.

La città costiera francese di Nantes, a quei tempi, era il più fruttuoso porto d’Europa per la pesca di sardine e alici, ma non lo sarebbe stato a lungo: i banchi si sarebbero spostati verso sud, e lo stesso avrebbero fatto le industrie, pronte a proliferare in Galizia, in Portogallo. E in Cantabria.

L'importanza di un approccio artigianale e condiviso.

Prima di arrivare sui nostri piatti, ora come allora, le acciughe attraversano un processo che dura almeno un anno e che inizia con la pesca in mare, in primavera. Le imbarcazioni seguono i banchi, li circondano, li attirano con le luci, li braccano. Una volta a terra, il pesce viene salato in grossi tini nei quali trascorrono tra le sei e le dodici ore, per disidratarsi.

Successivamente le alici vengono spostate in barili in legno, dove matureranno tra i sei e i nove mesi, acquisendo la consistenza che le contraddistingue e il colore finale.

Quello che segue è il momento più delicato dell’intero processo. I pesci vengono decollati, spogliati della pelle e ripuliti della salatura: scivolano tra le mani delle lavoratrici, fragili e friabili, vengono sfilettati uno ad uno. Un’attività puramente femminile.

Quando vengono inseriti nelle latte, coperti di olio d’oliva, qualcuna di loro lascia la sua firma personalissima, inserendo un cartoncino con il suo nome, come a dirti «ehi, il filetto che stai per mettere nel piatto l’ho preparato io, con le mie mani».

Le donne hanno sempre avuto un ruolo fondamentale in quest’industria, fin dai tempi di “La Dolores”. Compartecipativo, propositivo, open source. Innovativo e virtuoso, capace di scatenare un orgoglio pronto – a sua volta – a farsi propellente produttivo.

A Santoña, l’alice ha saputo reinventarsi. Acquisire prestigio e consapevolezza. Dentro ogni filetto non c’è solo la delizia organolettica, o le proprietà nutritive, ma anche una lezione di business. Un esempio di virtuosità economica e politica. Il prisma attraverso il quale la collettività, una comunità, ha trovato la sua forma espressiva, e abbracciato il suo destino.

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