PERCHé IL NUCLEARE è UN’OCCASIONE PER L’ITALIA

In una politica sempre più tribale e polarizzata, l’Italia potrebbe cogliere le opportunità del nucleare, attraverso un nuovo consenso bipartisan. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin lo ha recentemente dato a intendere, sottolineando come entro la legislatura l’obiettivo del governo sia licenziare nuove norme per la produzione di energia atomica. D’altronde, fu l’ex ministro draghiano Roberto Cingolani, dalla scuola di Italia Viva nel 2022, a indicare quella direzione come la quadratura del cerchio fra autonomia energetica e transizione. Una posizione profetica, dato che Cingolani era già un esperto vicino al M5s ed è oggi amministratore delegato di Leonardo per volontà di Giorgia Meloni. 

Dal punto di vista della sicurezza, d’altronde, il nucleare di cui stiamo parlando minimizza i rischi e massimizza i benefici. La versione di quarta generazione si basa su reattori di piccola taglia (small modular reactors) che possono essere impiegati per la produzione di calore, di elettricità o di entrambe. Alcuni di questi mini-reattori sono già operativi: quello di Chukotka, in Siberia, può produrre una potenza complessiva di 70 MWe per 26.000 ore continuative senza rifornimento di combustibile. Si tratta di reattori che producono poche scorie e impediscono il rischio di incidente, mantenendo il proprio funzionamento allo stadio sottocritico, in combinazione con un acceleratore di particelle, utilizzando piombo come refrigerante e torio come carburante naturale.

Il sistema manifatturiero italiano, peraltro, è energivoro, e non è possibile sostenerlo riducendo i combustibili fossili e puntando solo sulle energie rinnovabili - le cui tecnologie sono in mano cinese -, senza l’utilizzo di una energia non rinnovabile, ma pulita, come il nucleare, non a caso “ponte” verso la transizione, per la tassonomia Ue.

Considerando i 885,7 milioni di Tep (tonnellate equivalenti di petrolio) come consumo finale di energia nel 2020 nell’Unione europea, i Paesi più abitati e industrializzati - Germania, Francia e l'Italia - incidono per il 48%. Per quanto ci riguarda, ci stiamo liberando della dipendenza dagli import russi di gas - che prima della guerra in Ucraina pesavano per il 45% -, eppure le importazioni nette di energia sono aumentate: sono passate da 114.849 ktep nel 2021 a 118.858 ktep nel 2022. Infatti, l’energia nucleare importata dalla Francia è ancora rilevante nel nostro bilancio energetico. Rinunciamo a produrre energia nucleare, ma la compriamo da Parigi, con l’onere anche di smaltire le scorie nucleari relative, e così facendo paghiamo l’energia più cara in Europa e nel contempo non ci sottraiamo ai rischi nucleari, sia sul fronte dei rifiuti, sia in caso di incidente alle centrali, vista la vicinanza delle infrastrutture transalpine. In breve, paghiamo i costi del nucleare senza averne i benefici. 

La sola chiusura di due reattori di EdF – facenti parte del parco elettronucleare francese, costituito da 56 reattori a fissione nucleare di uranio – nel 2022 ha provocato un aumento record dei prezzi europei dell’energia in tutta la UE. 

D’altra parte, il gas è l’unica energia fossile che è aumentata nel bilancio energetico negli ultimi anni, ed anche questo è un problema che possiamo aggiustare con il nucleare. Se la dipendenza dalla Russia era un problema geopolitico prima, la dipendenza dal Qatar domani rischia di essere non meno preoccupante.

Infine, per quanto riguarda la tecnologia basata sulla fusione nucleare, l’Italia, tramite Eni, già collabora con il Massachusetts Institute of Technology (MIT) alla realizzazione di un reattore negli Stati Uniti e partecipa al consorzio europeo ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), che prevede la realizzazione di una centrale a fusione nucleare in Francia. Dunque, abbiamo l’expertise, si tratta solo di realizzare queste infrastrutture energetiche da noi.

L’unico rischio, in definitiva, è che il Pd e il M5s possano sconfessare se stessi e la loro componente riformista, esemplificata da Cingolani, per fare la guerra al governo. Sarebbe un errore esiziale per il Paese, ma non solo, compattando moderati e mondo delle imprese in direzione dei partiti che sostengono Giorgia Meloni.

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