In linea con gli indirizzi delineati nel PNRR, l’apporto delle energie rinnovabili alla generazione elettrica dovrà raggiungere almeno il 72% entro il 2030; in buona sostanza, il fabbisogno di nuova capacità “verde” da installare dovrebbe attestarsi intorno a 70-75 GW, vale a dire tra 7 e 8 GW/anno.
In tale contesto, dopo gli ultimi anni caratterizzati da plurime stratificazioni legislative dichiaratamente volte a snellire ed accelerare la transizione ecologica ma, nella pratica, rivelatesi di non agevole interpretazione ed applicazione, il 30 dicembre u.s. è entrato in vigore l’oramai noto “Testo Unico Rinnovabili”.
Il provvedimento in questione reca con sé l’ambizioso obiettivo di razionalizzare il frammentato reticolo normativo avente per oggetto la disciplina degli iter autorizzativi da osservare ai fini della costruzione ed esercizio di impianti FER nonché degli accumuli.
A distanza di pochi giorni dalla sua entrata in vigore, come avviene di sovente il Testo Unico è stato già sottoposto a molteplici critiche.
In estrema sintesi il Decreto appare concedere eccessivi spazi di manovra agli enti territoriali consentendo loro di innalzare le soglie di potenza correlate ai regimi amministrativi nonché rimettendo alla loro discrezionalità la definizione di una fattispecie delicata quale quella del c.d. “artato frazionamento” e il relativo effetto cumulo. Ancora, non sembra essere stata colta l’occasione di fornire finalmente una definizione chiara, precisa ed univoca di impianto agrivoltaico, lasciando, per l’effetto, ulteriori margini di discrezionalità alle regioni in sede autorizzativa.
Una eccessiva discrezionalità rischia di alimentare, come oramai ampiamente noto, la c.d. sindrome nimby dando origine alla surrettizia previsione da parte degli enti locali di criteri ostativi all’insediamento di impianti rinnovabili che rendono gravosi se non, addirittura, del tutto privi di convenienza economica gli investimenti in tale settore.
Contraddizioni appaiono poi emergere dalla declinazione del concetto di “interesse pubblico prevalente” di matrice eurounitaria; nello specifico se, per un verso, i progetti rinnovabili sono classificati come di “interesse pubblico prevalente”, per un altro, tale presunta “prevalenza” appare facilmente sacrificabile in presenza di ulteriori esigenze, ivi incluse financo le tradizioni agroalimentari locali.
In definitiva, senza voler trascurare le pur apprezzabili ambizioni di riordino normativo del legislatore, il percorso verso un effettivo cambio di passo in ambito permitting appare sfortunatamente ancora lungo ed irto di ostacoli. In quest’ ottica, è auspicabile l’introduzione di disposizioni integrative e correttive volte a dirimere le denunciate incongruenze ed incertezze interpretative e, soprattutto, che per una volta i costumi non cambino più lentamente delle leggi e, dunque, gli attori istituzionali rimuovano concretamente gli attuali ostacoli burocratici adottando un approccio pragmatico e funzionale all’effettiva massima diffusione delle energie rinnovabili.
Lorenzo Piscitelli – Professional Fellow WEC Italia
2025-02-10T12:55:42Z