RIFUGIATI, TEST DI INTEGRAZIONE ELEMENTARE E NIENTE SANZIONI DI DEFAULT

Uno stato membro può imporre a chi richiede la protezione internazionale di superare un esame di integrazione civica, a meno che non dimostri di essere già inserito nel tessuto sociale. E questo nella consapevolezza dell’importanza della conoscenza, soprattutto della lingua, del Paese nel quale si aspira a stabilirsi per inserirsi anche nel mercato del lavoro e della formazione professionale.

Tuttavia non si può sanzionare di default chi non passa il test ma l’ammenda, che non può tradursi in un onere irragionevole, può essere giustificata solo se c’è una accertata e persistente di volontà di non integrarsi. In più, l’esame deve basarsi su conoscenze elementari e un eventuale insuccesso va letto alla luce di una serie di variabili: dall’età alla condizione economica, dallo stato di salute fino al grado di istruzione. In ogni caso deve prevalere, anche in considerazione della vulnerabilità di chi fa una domanda di protezione internazionale o di asilo, la tendenza a concedere la protezione.

La Corte di giustizia (causa C-158/23) risponde al Consiglio di Stato dei Paesi Bassi che, come giudice del rinvio, chiedeva di analizzare la norma interna che prevede l’obbligo di superare, entro un certo termine, un esame di integrazione civica, pena un’ammenda.

La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia tra un rifugiato di nazionalità eritrea e il ministro degli Affari sociali e dell’Occupazione dei Paesi Bassi. Nel mirino dei giudici era finita la decisione del ministro, da un lato, di infliggere al rifugiato, un’ammenda di 500 euro per non aver superato, entro la deadline, la prova di integrazione civica e, dall’altro, di intimargli il rimborso di un prestito di 10mila euro che gli era stato concesso dalle autorità pubbliche dei Paesi Bassi per consentirgli di finanziare i costi dei programmi di integrazione. Una decisione dovuta al fatto che il giovane eritreo non aveva adempiuto i suoi obblighi in tempo utile.

In questo quadro si inseriscono le domande pregiudiziali per sapere se, e in che misura, gli Stati membri possano imporre ai beneficiari di protezione internazionale, in forza della direttiva qualifiche, un obbligo, a pena di ammenda, di superare in tempo utile un esame di integrazione civica e di farsi carico dei costi di tale esame e dei relativi corsi di preparazione. Una specificità della presente causa consiste nel fatto che, nel contesto delle competenze concorrenti dell’Unione europea e degli Stati membri, i programmi nazionali di integrazione civica sono, per i rifugiati, sia un diritto, ai sensi del diritto dell’Unione, sia un obbligo, in forza del diritto nazionale.

La Corte risponde premettendo che l’integrazione dei rifugiati è un processo importante e complesso, che esige il compimento di sforzi da parte di tutti gli interessati, vale a dire i rifugiati stessi e la società del paese ospitante. Un percorso che abbraccia aspetti giuridici, economici, sociali e culturali. È, quindi, naturale che strumenti internazionali quali la convenzione di Ginevra impongano agli Stati contraenti un obbligo giuridico di facilitare «l’assimilazione e la naturalizzazione dei rifugiati». Un obbligo recepito nel diritto dell’Unione dall’articolo 34 della direttiva qualifiche che impone ai Paesi membri di «garantire l’accesso ai programmi d’integrazione o creare i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi».

Nel caso esaminato, all’eritreo, arrivato nei Paesi Bassi a 17 anni, era stato considerato meritevole di protezione internazionale. A 18 anni, le autorità olandesi lo hanno informato del suo obbligo di seguire un corso di integrazione civica. Entro i tre anni, tutte le prove dell’esame di integrazione civica dovevano essere svolte. Una scadenza prorogata di un anno, perché il giovane aveva soggiornato stabilmente in un centro di accoglienza per richiedenti asilo e aveva seguito una formazione. Il rifugiato non si era però presentato ad alcuni corsi ed esami e non aveva superato quelli frequentati.

Per lui era scattata l’ammenda e il rimborso dei 10mila euro malgrado fosse stato dispensato dall’obbligo di superare il programma, in quanto, in quel momento, aveva fatto sforzi sufficienti per svolgerlo.

Per la Corte di Lussemburgo, l’ammenda non può mai tradursi in un onere finanziario irragionevole sul beneficiario interessato, tenuto conto della sua situazione personale e familiare.

Viene, dunque, bocciata la norma olandese secondo la quale la sanzione scatta in automatico e può raggiungere 1.250 euro. Misura manifestamente sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito dalla legge interna.

Inoltre, il fatto di addebitare, in linea di principio, la totalità delle spese dei corsi e degli esami del programma di integrazione civica al beneficiario di protezione internazionale compromette l’obiettivo consistente nel garantire la sua effettiva integrazione nella società dello Stato membro ospitante. Anche in questo caso si sconfina nell’irragionevolezza, creando un ostacolo non solo per quanto riguarda un concreto accesso al programma di integrazione civica, ma si impedisce anche di usufruire degli altri diritti e vantaggi garantiti dalla direttiva 2011/95.

2025-02-04T14:24:00Z