SARAS, MORATTI ADDIO: Sì DEL GOVERNO ALLA VENDITA AGLI OLANDESI DI VITOL

Poco da girarci intorno: la vendita di Saras da parte della famiglia Moratti agli olandesi di Vitol è la fine di un’era, nonché la conferma di una tendenza globale. Per contare davvero sui mercati internazionali, le compagnie energetiche puntano a fare accordi che riescano a creare società sempre più grandi e competitive sui mercati internazionali. Succede in altri settori, succede, ancor di più, in un comparto in cui negli ultimi due anni la sfida per conquistare fette di mercato si è fatta ancora più accesa. L’annuncio della cessione di Saras – società di raffinazione petrolifera fondata negli anni Sessanta in Sardegna da Angelo Moratti - era arrivato già a febbraio, subordinato però al via libera della Commissione Europea per il rispetto dei principi di concorrenza e del governo italiano, che avrebbe potuto esercitare il cosiddetto golden power, prerogativa prevista dalla legge che serve a limitare l’influenza degli azionisti stranieri in quelle società e in quei settori considerati strategici per il Paese. L’esecutivo ha dato ieri il suo benestare – o meglio, “prescrizioni non ostative al completamento dell’operazione - e così Vitol, gruppo di Rotterdam attivo nel trading di materie prime, si avvia ora a rilevare dai Moratti circa il 35% di Saras, proprietaria tra l’altro di una tra le più grandi raffinerie nel Mediterraneo (a Sarroch, vicino a Cagliari).

Al completamento dell'operazione, Vitol, che attualmente possiede il 10,46% del capitale del gruppo petrolifero, arriverà dunque a detenere circa il 45,480% di Saras, più eventuali ulteriori azioni acquistate nel frattempo, e lancerà un'offerta pubblica di acquisto a 1,75 euro ad azione sul flottante, con l'obiettivo di ottenere la revoca delle azioni ordinarie di Saras dalla quotazione e dalle negoziazioni su Euronext Milan, la Borsa italiana. Al prezzo attuale delle sue azioni, Saras vale 1,7 miliardi di euro. Per dare un ordine di grandezza sul mercato globale, a ottobre l’azienda petrolifera statunitense Exxon Mobil ha acquistato per 60 miliardi di dollari la concorrente Pioneer Natural Resources, la maggiore compagnia petrolifera del Texas; qualche settimana dopo, la società petrolifera Chevron ha sborsato 53 miliardi di dollari per aggiudicarsi il 30% della concorrente Hess; a gennaio, poi, Chesapeake Energy e Southwestern Energy hanno annunciato un accordo per fondersi: la nuova azienda sarà una tra le società produttrici di gas naturale più grandi degli Stati Uniti, con un valore complessivo di 24 miliardi di dollari.

Piccolo, insomma, non è più bello. E Saras era una preda “piccola”, ancorché ambita. Saras è tuttora un importante fornitore di prodotti petroliferi per l’Italia e il resto d’Europa (300mila barili al giorno), e ha anche un impianto elettrico (con una potenza di 575MW) da cui dipende circa il 40 per cento del fabbisogno energetico della Sardegna; importante anche il portafoglio di rinnovabili, tra eolico e solare. Nel cedere la società, a febbraio, Massimo Moratti ha definito l’operazione “la miglior garanzia per il futuro successo” degli impianti.

Vitol, da parte sua, ha una lunga storia di investimenti in infrastrutture energetiche in tutto il mondo, dalla produzione e raffinazione del petrolio alle energie rinnovabili fino allo stoccaggio di CO2. Al completamento dell’operazione, la società olandese disporrà di oltre 800 mila barili al giorno di capacità di raffinazione in sette raffinerie, 4GW di produzione di energia termica e oltre 1,4GW di generazione di energia rinnovabile. “Apprezziamo l'importanza di Saras in Sardegna, e nel Paese più in generale, e ci impegniamo a portare avanti l'eredità della famiglia Moratti di gestione diligente, operazioni sicure e supporto alla comunità locale e ai dipendenti”, ha assicurato l’ad di Vitol, Russell Hardy.

In generale negli ultimi anni il settore della raffinazione è andato incontro a diverse difficoltà sia in Italia che nel resto d’Europa, tra stagnazione della domanda interna e concorrenza dei principali fornitori di greggio, dal Medio Oriente alla Russia. Resta, infine, il nodo degli investimenti, in un momento in cui i ritorni non sono garantiti, a fronte della transizione verso la mobilità elettrica.

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